Capitolo IV
(diario inglese di un trentennesomething che abbandona le sicurezze familiari e si catapulta con i suoi sogni vecchi di quindici anni nella landa da cui proviene quasi tutta la musica che ha amato)
O della Magia del Possibile
16 aprile 2005, Queen Elizabeth Hall, Antony
L'esistenza indiepop in Inghilterra non e' cosi' diversa da
quella in Italia. Si potrebbe parafrasare questo concetto filosofico
con "Ovunque vai ti porti dietro l'indiepop che sei". Anche
se, insomma, per citare i Wire, la geografia il suo bel peso
ce l'ha: "Interrupting my train of thought / lines of longitude
and latitude / define and refine my altitude" (Map Ref. 41°N
93°W, da "154"). E allora si', guardiamoci davvero intorno:
e' vero, e' un mondo di sogno ma e' fottutamente reale! E tutti
i sogni, SI SA, diventano sostanza nel momento in cui ci crediamo
SUL SERIO. Bene, sono in UK, il regno del pop e anche di piu':
TUTTO E' POSSIBILE.
Grazie al cielo sono ancora preda di masturbazoini mentali,
e i soprascritti sono proprio i pensieri oziosi grazie ai quali
ho realizzato un "piccolo" sogno apparentemente senza speranza.
Qui in Inghilterra la gente si sveglia troppo presto. Si sveglia
troppo presto per comprare i biglietti dei concerti. E cosi'
capita che chi ha una devozione speciale per un artista ma non
e' preparato a questi giochi d'anticipo, rimane scornato anche
se si e' sforzato di combattere la propria italica inerzia telefonando
al box office un mese e mezzo prima del concerto. SOLD OUT.
Ma come e' possibile, hanno appena iniziato a promuoverlo. "It's
sold out, mate, do you understand?" Unica speranza i returns,
i biglietti restituiti all'ultimo momento. E va bene, rischiamo.
Rischiamo, chissenefrega, ci giochiamo un sabato e prendiamo
la linea Megabus ultraeconomica per Londra, piantoniamo fuori
dalla Queen Elizabeth Hall finche' non apre e poi tentiamo la
fortuna per la prima UK di Antony & the Johnsons.
Se arrivo alle due saro' di sicuro il primo della fila. Sbarco,
il centro di Londra e' occhi distratti e corpi in movimento.
La Queen Elizabeth e' chiusa, il box office e' alla Royal Festival
Hall. Mi dicono che l'unica speranza e' fare la fila alle sei
quando la QE apre i battenti. E va bene. Con un'ansia montante
girovago nel South Bank, fra la Hayward Gallery, il National
Film Institute, le bancarelle di libri e i saltimbanchi. Vedo
un video africano, bevo un caffe' da Starbuck e ciondolo intorno
alla QE. Sono le quattro, quando cala un velo di pessimismo.
Io che non fumo, fumo. Allora mi concentro, emergono i pensieri
citati nell'incipit, dannazione, quasi quasi prego, penso a
quanto desidero vedere Antony proprio qui e adesso.
E cosi' sollevo il velo. Allora forse i sensi sottili si svegliano.
Mi muovo, noto la forma a piu' livelli del teatro, scorgo gente
che staziona davanti all'entrata degli artisti che si raggiunge
attraverso una scala a chiocciola esterna, a fianco della Hayward
Gallery. C'e' una ragazza che parla al telefono. Mi avvicino.
Parla italiano. "Si' caro, prendi anche il cappotto per favore,
vicino alla cassettiera...". Ha modi affettuosi e delicati,
e' adorabile. Mi esce "Scusa, vai al concerto di Antony piu'
tardi?". Ci va. E non solo. Viviana ha anche due press pass
in piu'.
Si', si', lo sapevo che bastava sperare... con un po' d'intelletto!
"Trovati alle otto meno venti fuori dal teatro, quando arriva
anche mio marito". E' fatta! Pero' non voglio rischiare, e alle
sei sono alla porta a fare la fila per i returns. Si' perche'
metti che nel frattempo Viviana e suo marito cambiano programma.
Tentare tutto per tutto. Tanto sono il primo. Si', buonanotte.
La proverbiale efficienza inglese con le file agli sportelli,
agli autobus, alle casse, questa volta fa cilecca.
Siamo
in tre, e io gia' guardo in cagnesco gli altri due. Ci fanno
accomodare per i returns. Io mi metto primo, gli altri due sono
d'accordo. Dopo cinque minuti entra uno tipo villaggio vacanze,
seguito da una ventina di laidi rapaci intenzionati a passare
sui nostri cadaveri piuttosto di integrarci in quella che e'
considerata la "fila ufficiale per i returns". Ma come? Se mi
hanno spedito qui e non c'era nessuno fino alle cinquemezza?
Chi ti ha dato questa informazione? Aveva un pizzetto, il bastardo.
Noi, scalpita lo spilungone sibilante con la frangetta alla
Marr e gli occhiali che dicono "quanto sono alternativo", non
ti abbiamo visto a fare la fila al box office. Certo, perche'
al box office, dove mi hanno mandato ad aspettare qui, io ci
son arrivato molto prima di te! Niente da fare, alla fine siamo
costretti, io e gli altri due, a retrocedere in fondo alle venti
persone, guardati come i meschinelli che rubano le mele al mercato.
Cosi', sulla base dell'ostracismo comune, faccio amicizia con
Mark, che passa i seguenti dieci minuti a coniare insulti che
non capisco ma condivido, all'indirizzo di Marr e compagnia
digrignante. Intanto le studio tutte e mi muovo, lasciando Mark
a tenermi il posto: forse il vecchietto che ci ha fatto entrare
ha comprensione umana. No, niente. Forse al box office si rendono
conto di aver fatto una cazzata. Ma il pizzetto, unico testimone,
ha finito il turno. Shit! La fila davanti a noi inizia ad accorciarsi,
troppo lentamente pero'. Toh, c'e' anche il giro dei Coil. Ma
perche' fanno la fila qui ai returns? C'e' quello che assomiglia
a Rasputin e che ha tanto spaventato il mio amico Silvio nei
suoi sogni, dopo che l'abbiamo visto proprio al concerto di
Antony a Jesi lo scorso anno.
Sono quasi le sette e mezza e davanti a noi ci sono ancora nove
persone. Nessun problema, scatta il piano B: Viviana. Intanto
il foyer del teatro si sta riempiendo. Io vado all'entrata.
Entro ed esco, esco ed entro. Muovo la testa come un gufo, Viviana
non mi deve sfuggire. Eccola, arriva, e la accolgo proprio davanti
alla porta. Prima si spaventa, poi ok, sorride... ecco i pass!
Per me e pure per Mark.
Andiamo da questo donnone vestito da militare, Jean, che dovrebbe
farci entrare e invece ci dice che... Quelli non sono biglietti
ma pass per l'aftershow! In effetti c'e' scritto proprio cosi'.
Panico, ma facciamo finta di niente e proviamo ad entrare, mentre
Gonzales suona prima dei Johnsons. No, non va bene, dovete accomodarvi
all'altro ingresso. Scale, hall, altro ingresso. No, non va
bene, dovete uscire dal teatro e andare all'ingresso artisti.
Aiuto, Va bene, proviamo di la'. Siamo solo io e Mark adesso.
Una guardia ci ferma. Dice che non vanno bene per entrare. Grandi
lamenti. Telefona a Jean. Mi passa Jean "Jean, ma insomma, noi
dobbiamo entrare a tutti i costi, fa parte della promozione
(ma che ne so, sto improvvisando)". "Quale promozione?"...
Jean aggiunge che possiamo andare nella green room. La green
room e' dove sara' il party dopo lo show. C'e' vino e cibo.
E un'altra guardia, ubriaca, che ci blocca mentre spieghiamo
che dobbiamo entrare sventolando i pass. No, no, no: siamo costretti
ad uscire. Incontriamo Charlie, con la faccia da ex tossico.
Ci blocca e ci dice che possiamo stare in un angolino schifoso,
fuori dalla sala. Non se ne parla. Di nuovo scene madri piuttosto
efficaci di un italiano a Londra e di un londinese ormai preso
nel delirio di un italiano, mentre citiamo Jean, Viviana e tutto
quello che avevamo imparato sul teatro e il suo staff strada
facendo.
Charlie ci porta su, nella hall, attraverso passaggi segreti
concessi solo a chi ha conoscenze esoteriche come quelle dei
Coil. Siamo di nuovo di fronte a Jean-sguardo bellicoso. Jean,
noi dobbiamo entrare, mi sembra che dovrebbe esserti chiaro
a questo punto. E Jean, come due assi nella manica, vinta prima
dalla collera e poi dalla stanchezza, tira fuori DUE BIGLIETTI
D'EMERGENZA.
"Non vedrete molto, siete dietro al mixer".
Jean, caro donnone, ti amiamo. Mark non riesce a crederci e
mi offre due whisky. Perfetto. Entriamo, con pernacchia a Marr
che siede dietro di noi. La visuale e' perfetta, centrale, completa,
fra i milgiori posti della sala. Viviana e suo marito entrano
dopo di noi e hanno posti peggiori: sono dentro alla postazione
del mixer! Senso di colpa: dovremmo cedere i nostri posti? Speriamo
che non ci vedano... Ma c'e' ancora spazio, cosi' li invito
con non chalanche li' dietro con noi.
Il Concerto: stringato, anche questa volta Antony e' nervosissimo.
Momento piu' emozionante, "River of Sorrow" cantata in duetto
con Marc Almond, reduce da grave infortunio che gli e' quasi
costato la vita. Bellissima. Dopo questo una pazza fra il pubblico
intona vecchi hit dei Soft Cell e innervosisce ancora di piu'
Antony. Il concerto dura un'oretta scarsa, bis compresi.
Felice, goduto, in sollucchero, adesso e' l'ora dell'aftershow.
Io e Mark piombiamo giu' nella green room, ancora bloccati e
controllati da una guardia (scadaloso). Li' ci sono i Johnsons,
Antony, Marc Almond e una moltitudine di addetti ai lavori,
amici e il solito giro Tibet-Coil. C'e' anche un bel po' di
vino. Per dire due parole ad Antony facciamo una specie di coda
come per le udienze papali. Ma la realta' e' che qui tutti o
quasi si conoscono e noi non c'entriamo un fico. Suggerisco
a Mark di tenere un contegno annoiato, come nella famosa poesia
di Penna.
A un certo punto noto che sia Rasputin che Jean mi tengono d'occhio.
Mi immagino una scena alla "Ultracorpi", con alieni che puntano
il dito verso di noi ululando. Invece uno del Coil-giro viene,
mi sorride, mi saluta e mi chiede come va. Bene, grazie. Ti
sorrido, faccio due parole ma non sei troppo il mio tipo e io
sono ancora fuori di me, devo dire almeno qualcosa ad Antony.
Ciao, ne'. Dopo un'ora riesco a dire ad Antony che e' stato
grande e che non si deve preoccupare troppo degli errori al
piano di cui si sta scusando con tutti (quanto sono generoso,
compassionevole e pio). Mi chiede di ricordargli il mio nome
(ma come, non ti ricordi?). E via, tipo bacia il sigillo papale.
Mark ha perso il posto e stiamo ancora mezzora perche' vuole
dirgli qualcosa pure lui. Poi cede, troppo lunga la faccenda,
e poi... cosa dirgli? Ce ne usciamo con l'ultimo bicchiere di
vino, e Mark e' cosi' felice che mi offre il tassi' fino alla
casa dei miei amici londinesi.
Lo so, lo so. Anche se su questo sito e' apprezzato da molti,
Antony non e' esattamente indiepop. E lo e' ancora meno adesso
che e' letteralmente esploso con il tour europeo. Ma ragazzi,
la musica e' musica, e io sono in Inghilterra per far risuonare
queste benedette corde che ci fanno ascoltare/leggere/scrivere.
Dunque non potevo non dedicarvi questa esperienza indimenticabile,
vissuta con totale spirito pop.
Davide Ariasso
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