Redazione
Fondatori
Indiepop.it nasce nel maggio del 2003 grazie agli sforzi coordinati di Salvatore, Alessandro e Fabio.
Salvatore Patti: Noto all'estero come "the apex of taste", si nutre ad una ferrea dieta pop dall'età di 14 anni, quando scopre i Duran Duran e in una settimana ne acquista l'intera discografia. Da lì ai Jesus & Mary Chain il passo è brevissimo. Comasco d'adozione, indossa solo camicie di seta e stivali di alligatore.
Alessandro Calzavara: Proprietario
terriero messinese, filosofo part-time e neopsichdelico professionista
sotto lo pseudonimo Humpty
Dumpty. Parlate bene della sua musica e vi amerà
all'istante. Possiede il 90% dei 45 giri Sarah in edizione
originale ma non li ha mai mostrati a nessuno.
Fabio Russo: la massima autorità romana in campo twee. Malinconico esistenzialista con il culto del CD, seziona dischi pop alla ricerca di frasi romantiche da ripetere alle ragazze che cadono copiose ai suoi piedi. Ha un unico difetto: non sopporta i Sea Urchins.
Collaboratori
Enrico Veronese: he's my teddy boy, campa di
guai, non piange mai, si chiede che / sarà di noi. Lui è Venezia e
Venezia è lui: saturo, passatista, vinoso, praticamente in decadenza
senza fondo. Divulga il pop nei locali col nome di Enver e fa compile
in continuazione, nelle quali non mancano mai "Windmills of your mind"
nelle sue varie versioni e "Stone on the water" di BDB. Come blogger si prende troppo sul serio, va ridimensionato.
Chiara Camponeschi : Perennemente "lost in translation", si consola ascoltando Emily Haines. Appassionata del mondo Arts & Crafts, studia a Toronto da quasi tre anni, dove, tra un libro di relazioni internazionali e uno di teoria critica, non fa che andare a concerti indie. Idiote savante per forza di cose, vorrebbe espandere la sua collezione di CD ma pensa che per farlo dovrebbe prima scegliere una sola città in cui vivere... e non crede ne valga ancora la pena. Fatele incontrare Torquil Campbell e vi sarà per sempre fedele!
Valeria Sgarella : autrice e conduttrice, ha gravitato in dubbi network radiofonici per 15 anni; cosa che si ostina a fare anche oggi, nonostante tutto. E fa bene, perchè proprio grazie alla radio ha toccato con mano gli anfratti più disperati e irrilevanti del pop. Ha un poster delle Marine Girls in bagno. Ma la chiamano per presentare maratone heavy metal. E' ovvio che qualcosa non va.
Pasquale Mellone (aka PaMeLlO): Trova - tra un post e l'altro - il tempo di battersi per: il riconoscimento del popolo calabrese come minoranza linguistica; la liberazione dei criceti e di tutti i piccoli animali domestici; una legge che renderà obbligatorio inzuppare i pangoccioli nel cappuccino; e la chiusura di Studio Aperto.
Davide Ariasso: Lost in a UK Dream, ci si è trasferito quando gli hanno offerto un lavoro a Bristol. Bristol? Là C'era la Sarah Records, va bene, parto! Tutto iniziò nell'87, quando per un'intera estate non smise più di ascoltare "Cold Heart" dei Jasmine Minks e "Almost Prayed" dei Weather Prophets. Ben 18 anni dopo approda in the UK. Per fare che, lo si scoprirà nei prossimi 18 anni...
Michele Toffoli : Folgorato dai primi Stereolab ormai diversi anni fa, ricerca in continuazione melodie pop dai suoni non convenzionali. Ha un debole per il pop francese, l'indie spagnolo e il dreampop di ognidove. La musica che ama è precaria quanto lui, perché in un difficile equilibrio tra melodia e sperimentazione.
Gabriele Marramà : dalla profonda provincia abruzzese, quarantatrè anni (ma se ne sente una quindicina in meno). Consumatore onnivoro e compulsivo di musica, folgorato sulla via del pop dall'ascolto del primo singolo degli Smiths, dopo trascorsi prog-rock e new wave. Passatista e nostalgico, rimpiange l'epoca dei vinili e contempla spesso con trasporto i suoi dieci pollici della Sarah.
Ian Abberline: famoso ubriacone cacciato via dal trenta per cento dei pub Londinesi (ma può fare di meglio) si consola realizzando improbabili interviste alle malcapitate popstars di turno. O almeno a quelle che reggono il fetore del suo alito. Cela la sua vera identità dietro un cognome fasullo ma importante.
Marco Lombardo: Di stanza a Stoccolma (e dalla sua stanza di Stoccolma) Marco ci ha raccontato tutto della ferbida scena pop svedese dalle colonne di "Stockholm Syndrome".
Si ringraziano Tae Tokui e Barbara
Lanza per il supporto grafico. Il sito-archivio è stato realizzato da Simona Benedetti (in arte Pirolele).
Perché indiepop.it ?
Se
"pop" è la contrazione di popular, allora l'indiepop è una
contraddizione in termini: non è musica "popolare" né dal punto di
vista del pubblico (ristretto a qualche migliaio di persone in tutto il
mondo nei casi più fortunati) né da quello delle scelte musicali.
L'accento va posto infatti sulla prima parte del nome: è pop
*indipendente*, libero da necessità commerciali e in una certa misura
orgoglioso del proprio ruolo di genere di nicchia. Indiepop è
l'affermazione della melodia nelle sue forme più pure e senza
sofisticazioni, è pop distillato, inebriante a dispetto del basso tasso
alcolico. Nel corso degli anni si è contaminato con l'elettronica ma
rimanendo fedele ai suoi dettami di semplicità ed immediatezza, ed ha
conosciuto una forte espansione geografica a dispetto di una diffusione
piuttosto limitata.
Nonostante fare distinzioni all'interno della scena sia spesso
questione di lana caprina, riteniamo opportuno spiegare il
significato di termini ricorrenti come "Tweepop"
o "C86" che potrebbero essere di oscura comprensione
per il neofita. Seguiteci.
Tweepop
Twee: affettato, lezioso, sdolcinato. Curioso che una scena
musicale debba basarsi su questi presupposti, anche se il
termine è usato principalmente in chiave ironica o canzonatoria. Il twee pop è
una variante semplificata dell'indie-pop, e si può
dire che ne costituisca la forma più pura, cristallizzata
allo stadio infantile. Semplici canzoncine allegre o malinconiche,
una strumentazione ridotta al minimo (chitarra - meglio se
acustica, basso, batteria, più eventuale elettronica
molto low-tech), una voce, di solito femminile ed angelica,
e al centro di tutto la melodia, protagonista assoluta di
ogni brano. Nessuno spazio alle sperimentazioni o all'innovazione,
un'aderenza più o meno assoluta al verbo sixties di
Brian Wilson e dei gruppi vocali, un'insofferenza congenita
alla sofisticazione. Ecco il Tweepop, anche noto come "Anorak
pop" (per via dell'abbigliamento) e confuso con il passare
del tempo con l'analoga scena "C86".
C86
Negli anni 80 capitava che NME offrisse una cassettina annuale ai suoi
lettori, radunando il meglio della scena indie dell'epoca, facendo
precedere le cifre finali dell'anno in esame da una "C" per
scimmiottare i nomi in uso per le cassette vergini (C46, C60 e così via, a indicarne la durata in minuti): nel 1986 pe
una serie di congiunture non tutte spiegabili e a dispetto di una forte
disomogeneità, quel nastro diventò il punto di partenza di una nuova
scena musicale underground, in aperta opposizione al mainstream e
fortemente politicizzata nella sua critica al governo Tory. Il termine
"C86" venne in seguito utilizzato per descrivere la parte più "pop" di
quel nastro, comprendente gruppi come Wedding Present, Shop Assistants,
Wolfhounds.
Partito dalle esperienze dei Jesus & Mary Chain con feedback
e distorsori e dalle istanze sixties delle band Rough Trade
che dominavano le classifiche indipendenti (Smiths, Woodentops,
Easterhouse), il C86 stemperò gradualmente la sua carica
aggressiva mantenendo intatta quella DIY e declinò
lentamente verso il tweepop confondendosi ad esso, tanto che
le due scene oggi sono considerate una cosa sola. Erano anni
in cui la scena indiepop scozzese si faceva avanti con le
sue malinconie assortite, esercitando una presa sul mondo
indipendente britannico che sarebbe durata sino alla fine
degli anni 90.
Sembrava un'operazione circoscritta ad un periodo non particolarmente
glorioso degli eighties inglesi e invece non fu così:
il tutto è diventato un vero e proprio culto, generando
fanzine in paesi lontani, dal Giappone alla Svezia (all'Italia),
ed un nutritissimo stuolo di imitatori.
Origini
Da dove nasce il tweepop? Dalla reazione al cosiddetto goth
(qui da noi meglio noto come "dark") che popolava
la scena indie inglese all'inizio degli anni 80 con un'attitudine
estremamente seriosa e abbigliamento obbligatoriamente nero:
il C86 professa per contro il ritorno dei colori e della mai
sopita vena melodica inglese, che si estrinseca dapprima nel
recupero di sonorità sixties filtrate dal fuzz-pop
allora in voga e procede poi per successive semplificazioni.
E quando il fuzz sparisce, la melodia rimane, stavolta accarezzata
e nutrita da tre accordi di chitarra e voci melliflue. E'
una libera interpretazione degli anni 60 più morbidi,
dai Girl Groups ai Beatles passando per Byrds e Free Design,
e che nelle sue reinterpretazioni di quell'epoca fa tesoro
delle esperienze di gruppi scozzesi emersi solo qualche anno
prima, come Orange Juice ed Altered Images.
Perché prospera il tweepop? Perché è
il genere perfetto per gli eterni adolescenti: ha un passato
ben definito ma non aspira ad alcun futuro, è musica
per gente che non ha ancora deciso cosa fare da grande né
sembra intenzionata a diventarlo, ed è cristallizzato
non solo nelle scelte musicali ma anche in quelle liriche,
per sempre ancorate a storie di cuori infranti e innamorati
timidi, e praticamente privi di qualsiasi connotazione sessuale.
Un ritorno alla semplicità che si serve per la propria
diffusione di un circuito underground di locali, etichette
e fanzine organizzato come non succedeva dai tempi del punk.
La maggior parte delle etichette responsabili della diffusione
del genere (dalla 53 and 3rd alla Sarah Records) nascono per
l'impegno diretto dei musicisti o di semplici appassionati,
e la massima soddisfazione, più che entrare nelle indie
charts di NME (la cui affidabilità è quasi nulla) è fare la propria comparsa nei Festive 50 di John Peel,
la classifica annuale degli ascoltatori del programma di indie
rock più famoso del mondo.
Oggi
ll genere ha la sua schera di affezionati, in grado di riconoscersi
anche senza indossare anorak. Un popolo che legge avidamente
i siti dedicati come twee.net e la mailing list collegata,
che affolla i forum di indiepages, che compra i dischi per
corrispondenza e che costituisce il nettare di una scena (questa è la vera novità) priva di confini. Sì,
perché nonostante la nascita inglese oggi il tweepop
ha perso ogni caratterizzazione geografica ed è uguale
dappertutto, dalla Spagna alla Svezia, dal Giappone alla Grecia,
dal Brasile all'Italia. E che ha frazionato il genere in un'infinità
di sottoclassi (lo-fi pop, bedroom pop, shambling pop, fuzz
pop) che vi risparmiamo, nell'attesa di capirci qualcosa anche
noi.
La presenza dell'indiepop in Italia è desolatamente
labile: pochi dischi, pochissimi concerti. Attraverso indiepop.it
vogliamo scoprire quale sia l'interesse attorno alla scena
e magari riuscire a creare una (piccola) comunità di
poppettari indipendenti. Se sei dei nostri, scrivici!