THE SOFA (Interviste, approfondimenti, riflessioni)
Adoro questo divano. Adoro la seta di cui é rivestito. Adoro il suo colore blu. Il suo odore. E il fiore bianco stilizzato che lo decora.
Per inaugurarlo ho voluto con me degli amici. Che di Stoccolma sono stati colonna sonora e sfumature. La prima volta che per sbaglio sono capitato qui. Estate 2004.
Un segreto troppo a lungo custodito. In Italia perlomeno. Per favore vogliategli bene.
Un applauso.Gli
Hell On Wheels
Gli Hell on Wheels a Stoccolma sono delle vere e proprie piccole leggende, un gruppo a dir poco seminale, dei veterani indie-rock in carne e ossa. Agitatori, catalizzatori, punto di riferimento.
C'é un bar a Soder (la zona "artistica e creativa", dove tutto si dice sembri accadere senza in realtà troppo mostrarsi, in classico stile svedese) chiamato Indigo, uno dei luoghi cardine nella indie-mappa cittadina, che in loro onore ha inventato un cocktail inserendolo orgogliosamente nel menu. Un cocktail, a quanto sembra, dal tasso alcolico particolarmente elevato. E credetemi c'é poco da scherzare. In Svezia l'alcool é una cosa seria. Parte integrante di un immaginario. Traccia nascosta e sottile nella creatività di una nazione.
Un gesto del genere qui non lo si compie senza dargli valore. Lo si dedica con un motivo. Onore e rispetto.
Gli Hell on Wheels di una "certa" Stoccolma e di una "certa" Svezia sono i figli illegittimi e specchio inconsapevole. Figli un po' malaticci. Specchio deformante e attraente.
Figli di quella Svezia che ha preso l'America a stelle e strisce e la fagocitata rigurgitandola altra. Nuovo ibrido con caratteristiche uniche e sfuggenti.
Specchio arrugginito di un continente che ha calpestato i suoi stessi sogni e che da quest'ultimo ha preso i rottami lucenti e ne ha fatto espressione artistica.
Tutto già visto, tutto già sentito eppure così unico e diverso da tutto il resto.
Fotocopie che non potrai mai più ottenere con la stessa tonalità di nero.
Irriproducibili. E bellissime.
Come "Having ones luggage labelled" , "The Soda", "All my efforts (Are wasted on you)", "Nemozob". Classici indie-rock senza tempo e misconosciuti, tratti dal loro album d'esordio "There is a Generation of Handicaped people to carry on".
Una vera e propria perla, mai arrivata in Italia, dal titolo programmatico.
Oppure "Halos are holes made of space", "It's wrong being a boy", "A summer killing a spring" dal secondo splendido album "Oh my god!What have I done".
Stessa identica sorte del precedente.Nessuno, se non pochissimi eletti, ne ha sentito parlare nel Belpaese. Figuriamoci ascoltato.
Cosa che, ovviamente, non é accaduta nel resto del mondo.
Brasile, Russia, America, Germania, Francia, Danimarca, Norvegia, Inghilterra, Finlandia, Giappone si sono innamorati degli Hell on Wheels, pubblicandone i dischi, organizzando concerti e tributandogli un piccolo culto sotterraneo, quasi segreto. Svezia compresa. Of course.
C'é stato un momento, subito dopo l'uscita del secondo disco, in cui tutto il gotha della scena indie svedese (critica-musicisti) attendeva da loro il grande botto, quello coi numeri per intenderci, ma le cose sono andate diversamente e in effetti ascoltando oggi quelle canzoni era inimmaginabile che un album così obliquo, così trasversale e lontano anni luce da sonorità anche minimamente mainstream, potesse affiancare i successi internazionali di Hives, Mando Diao, The Cardigans e compagnia. In un altro mondo.Forse.
In un altro mondo.
Immaginate i Pavement dati in pasto alle masse?
I Sebadoh, gli Yo la Tengo, i Grandaddy, i Black Heart Procession, i Blonde Redhead in Heavy Rotation su Mtv?
Il fatto che qui ci abbiano creduto, anche per un solo istante, é sintomo di un'attitudine non convenzionale e sicuramente in via d'estinzione nei confronti della musica. Un approccio unico. Stati Uniti ed Inghilterra compresi.
Semplicemente però a volte accade che l'impossibile rimanga tale e che i sogni rimangono nel cassetto di qualcun altro.
Capita. La maggior parte delle volte.
La verità é che gli Hell on Wheels a quella possibilità non hanno mai creduto neanche per un secondo, non l'hanno neanche mai presa in considerazione probabilmente.
Troppo underground, troppo anomali e volutamente distanti, troppo "dannatamente e splendidamente indie".
L'intervista é fissata nella loro sala prove.
Sodra HammarbyHamnen, la zona.
Gullmarsplan, la fermata della metropolitana.
Johan, il batterista del gruppo é lì ad aspettarmi.
Esco di casa in ritardo. Fa freddo.
Il divano blu sopra la testa come la nuvoletta di un fumetto.
Nessuno, per fortuna, sembra notarlo fluttuare magicamente dietro di me.
Ora che ci penso, in effetti, é un po' strano.
Dovreste vedere quel fiore stilizzato comunque.
E' una meraviglia.
Assisto alle prove dei brani per il nuovo album imminente. Beviamo qualche birra. Sfogliamo vecchi numeri dell'NME direttamente dagli anni '80. Discorriamo di Prog-Rock (Rickard, voce e chitarra, mi confida di essere irresistibilmente affascinato dalla storia di queste band, pur non avendone mai ascoltato un album).
Alla fine, a serata inoltrata, iniziamo con le domande, in un clima a dir poco amichevole e rilassato.
Gli Hell on Wheels esistono oramai da undici anni. Avete voglia di raccontarmi un po' la vostra storia, il vostro percorso artistico, le varie tappe che vi hanno portato fino ad oggi e a questa intervista?
Johan: Tutto é iniziato nel settembre del 1994. Io e Asa vivevamo già insieme e suonavamo con un nostro amico.
Nella stessa sala prove gravitava Rickard, impegnato in un'altra band.
Non ci eravamo mai frequentati prima, anche se lui e Asa si conoscevano già ai tempi della scuola e provenivano dallo stesso paesino fuori Stoccolma.
Semplicemente un giorno é capitato per caso di suonare qualcosa insieme e senza che nessuno l'avesse mai lontanamente preventivato é successo l'irreparabile.
Tutto funzionava, la chimica si era instaurata, la strada era imboccata. Abbiamo scaricato il vecchio cantante e Rickard ha lasciato la sua vecchia band. All'epoca, per un po', abbiamo avuto una seconda chitarra ma la cosa scorreva solo quando eravamo noi tre a suonare, così alla fine, dopo vari avvicendamenti siamo diventati un trio e con il tempo una vera e propria piccola famiglia con i propri equilibri e i propri segreti.
Abbiamo registrato una quantità infinita di demo, suonato praticamente ovunque qui in Svezia e il nome ha iniziato a circolare.
Nel '98 abbiamo suonato all'EmmabodaFestival, un festival enorme, uno degli appuntamenti annuali più importanti in tutta la Scandinavia per quanto riguarda la musica indie, e la mattina dopo la nostra performance una fanzine collegata all'evento ci chiese di esibirci per colazione in una sorta di happening rituale e noi nonostante un hangover colossale decidemmo di accettare e fu così che la Labrador Records decise di scritturarci per uno dei loro primissimi singoli. Firmammo ubriachi senza la minima idea di cosa stessimo facendo.
Cos'é successo dal 1998 fino al 2001, anno che finalmente ha visto dare alla luce il vostro album d'esordio?
Rickard: Durante quel periodo abbiamo continuato a lavorare sulle nostre canzoni e ad inciderne di nuove.
Alcune sono nate in uno studio di registrazione che un tempo era stato lo showroom privato e la sala di montaggio del grande Ingmar Bergman. Gran parte della storia del cinema svedese é stata montata lì dentro.
Inoltre abbiamo inciso un Ep per un'etichetta americana, la Urinine Records nel quale comparivano in una veste ancora primitiva alcune canzoni che sarebbero poi finite nel nostro album d'esordio. Finalmente nel 2001 esce il nostro primo disco per la più importante etichetta indipendente svedese, la Nons (North of no South).
L'unico problema é stato che il discografico, che ci aveva scritturato pieno d'entusiasmo e di passione, il giorno dopo é stato licenziato, a quanto si dice per problemi legati all'alcool. Così ci siamo ritrovati all'interno di una scuderia gigantesca e complessa praticamente con nessuno o quasi dalla nostra parte.
Nonostante tutto abbiamo iniziato a girare parecchio per festival e concerti, incontrando il favore e la stima di coloro che un tempo erano stati veri e propri idoli, Teenage Fanclub, Sonic Youth e Pixies su tutti e con alcuni di loro abbiamo stretto amicizie che perdurano tuttora.
Dopodiché, finita un'interminabile tournee, ci siamo fermati un attimo e abbiamo cominciato a scrivere nuove canzoni in previsione del secondo disco.
Per mesi e mesi abbiamo rinviato le registrazioni aspettando che Jim O'Rourke si liberasse da tutta la sua serie infinita di impegni e alla fine abbiamo realizzato che i Sonic Youth semplicemente l'avevano ingoiato ed era ormai impossibile averlo in prestito anche solo per poco.
Così abbiamo contattato alcuni produttori svedesi e il tutto é andato in porto.
Per un attimo, subito dopo l'uscita del disco, sembrava che qualcosa di grosso si stesse muovendo, che le cose si stessero facendo serie. Ma la verità é che non puoi fare tutto da solo in circostanze del genere e la mancanza di un appoggio da parte della casa discografica ci ha sicuramente un po' penalizzato.
Ci siamo tolti le nostre soddisfazioni comunque, girando letteralmente mezzo mondo, dagli Stati Uniti al Giappone e abbiamo accumulato esperienze e sicurezze che sicuramente ci serviranno per questo terzo album che, attualmente, é ancora in fase di lavorazione.
A qualche anno di distanza dai primi due dischi notate un'evoluzione nel vostro del suono, verso quale direzione stanno andando le registrazioni del nuovo disco?
Rickard & Johan: La verità é che il primo disco é stato in pratica una sorta di "Best of" conseguente a quasi otto anni d'attività . Ovviamente abbiamo riarrangiato i brani e i ragazzi che hanno prodotto e registrato il disco hanno fatto un gran lavoro facendo suonare il tutto compatto ed omogeneo.
"There is a Generation of Handicaped people to carry on" é un disco di classica matrice indie-rock come quelli che si facevano negli anni novanta. Il secondo album invece é decisamente più sperimentale. Abbiamo giocato di più con la forma canzone, dilatandola, spezzettandola cercando arrangiamenti e soluzioni sonore alquanto inusuali.
E' stato un momento molto importante per l'evoluzione del gruppo, un momento d'introspezione e di confronto.
Le canzoni hanno seguito una gestazione particolarmente lunga anche perchà© eravamo sempre in attesa che Jim O'Rourke si liberasse dai suoi impegni, spostando le registrazioni di mese in mese.
Ci sono alcune canzoni che nella loro forma definitiva non hanno praticamente più nulla dell'idea iniziale.
Inoltre se già nel primo disco erano presenti i backing vocals di Asa, per armonizzare e completare le parti vocali, nel secondo disco sono diventati un elemento fondamentale e distintivo, arricchendo e caratterizzando il nostro suono in maniera nuova e determinante.
Per questo album invece non abbiamo deciso praticamente nulla, abbiamo lasciato che il caso e la nostra sensibilità del momento ci portassero verso il suono "destinato". Come hai potuto sentire a questo stadio le canzoni hanno veramente matrici differenti e forse la direzione del disco sarà quella. Dare sfogo alla nostra creatività senza cercare di controllare e organizzare troppo il tutto.
Tutte le canzoni hanno però in comune di essere decisamente più dirette e "orecchiabili" pur essendo rivestite da arrangiamenti sempre più obliqui e da sfumature sempre più complesse. Per la prima volta, inoltre, abbiamo deciso di produrci e fare il tutto da soli. E' una sfida, ma fino adesso le cose sembrano andare per il verso giusto. Siamo molto soddisfatti.
Quali sono gli ascolti che hanno influenzato la vostra formazione musicale?
Rickard, Johan & Asa: Abbiamo ascoltato così tanta musica dagli anni ottanta ad oggi. E' sempre stata la nostra principale occupazione! Abbiamo visto nascere e sparire centinaia di gruppi e tutti sembravano essere straordinari. E' inutile nascondere che i Pixies siano stati un'influenza importantissima ma ci sono così tanti altri strati dietro.
Yo La Tengo, Elvis Costello, Soft Boys, The Chills, The Go Betweens, il rock degli anni ottanta, i primi Simple Minds, Echo and the Bunnymen, Pavement, Arcade Fire, New Order, Xtc, Teenage Funclub, The National.
Il nostro problema é sempre stato quello di voler suonare come venti gruppi diversi contemporaneamente.
Avremmo dovuto scegliere la strada intrapresa dagli Oasis e diventare una specie di cover band. Loro dei Beatles noi dei Beat Happening!
In questi anni avete praticamente suonato con il gotha della scena "alternativa" mondiale, avete qualche aneddoto particolare qualche segreto da rivelarci?
Johan: In questi anni c'é capitato di suonare con tantissime band é vero, alcune di loro abbastanza "importanti", sebbene noi provenissimo da un circuito decisamente diverso. Di aneddoti ce ne sono a centinaia, la maggior parti dei quali tempestati dall'alcool.
La tournee in Brasile é stata indimenticabile.
Vedere Joey Santiago dei Pixies seguirmi nel backstage per avere una copia del nostro disco é stato particolarmente emozionante e ancora più emozionante é stato rivederlo il giorno dopo sentendomi dire che aveva passato tutta la notte ad ascoltarlo.
Asa: Io ricordo Johan durante l'aftershow di un concerto parlare per almeno un'ora con Kim Gordon dei Sonic Youth. Erano così concentrati e coinvolti, sembravano parlare dei "massimi sistemi". Alla fine della conversazione andai da lui chiedendogli, curiosissima, di cosa avessero parlato. La sua risposta, disarmante, fu: "Non ne ho la minima idea, non ricordo più niente".
Johan: Lo so é un po' triste. Però per impressionare le ragazzine potrò per sempre dire che Conor Oberst dei Bright Eyes mi ha baciato in bocca! E questo lo ricordo benissimo. Non scherzo é la verità .
Avete la percezione, essendone all'interno, di quanta attenzione ci sia da parte di tutto il mondo "indie" nei confronti della Svezia e della sua scena musicale?
Esiste una ragione, da qualche parte, al proliferare di così tante band dal livello qualitativo elevatissimo in una nazione così piccola?
Johan & Rickard: Onestamente é una sensazione che in Svezia abbiamo già avuto a fasi alterne. Ci sono anni in cui tutto sembra un po' poltrire e anni in cui i dischi e i nomi delle band girano il mondo suscitando attenzione e curiosità . La verità é che probabilmente é solo una questione d'attenzioni esterne che vanno e vengono perchà© qui non si smette mai di pubblicare dischi, formare nuove band, suonare.
Negli ultimi anni comunque la situazione a Stoccolma ha subito una notevole scossa, un cambiamento evidente per chi ci é cresciuto e vissuto.
I club dove suonare, i concerti, gli eventi si sono moltiplicati. Sono stati intrecciati un sacco di legami con realtà come Stati uniti e Inghilterra.
Non c'é giorno della settimana in cui non capiti qualcosa d'interessante e stimolante da qualche parte.
L'unico inconveniente é che spesso gli eventi si sovrappongono e la concorrenza tra le varie organizzazioni diventa inevitabile anche se magari si é amici da anni.
Per quanto riguarda una ragione al proliferare di così tante band é già più difficile darti una risposta.
La musica, tradizionalmente, é sempre stata un elemento importantissimo nella cultura svedese.
Più o meno tutti in Svezia l'hanno studiata a scuola e sanno perlomeno strimpellare uno strumento.
Negli ottanta del boom economico svedese e dell'arrivo in massa del pop e del rock inglese e americano, ognuno di noi aveva un fratello o un amico che possedeva un amplificatore o una chitarra elettrica, anche nei paesi più lontani dalla città , ed era normale ed automatico scambiarsi gli strumenti e "giocarci" fino allo sfinimento.
Probabilmente il tutto é anche dovuto alla rigidezza e alla lunghezza del nostro inverno. Se non vivi in città come Stoccolma o Goteborg, ti assicuro, c'é ben poco da fare per passare il tempo libero.
In queste realtà quindi é molto più frequente mettere su una band e suonare, spesso é un semplice modo per impegnare il tempo e combattere la noia. I ragazzi non potendo uscire per via del freddo, della neve, del buio, si chiudono in casa e suonano, suonano, suonano.
Non é un caso che le band migliori in Svezia vengano sempre da piccoli paesini e non dalle grandi città .
Un piccolo segreto ora. Un fatto tra donne.
Ingrid, Kirsten (si, quella di Kirsten's Postcard) e Asa (la bassista e cantante degli Hell on Wheels) si sono parlate qualche giorno fa, davanti ad una tazza di caffelatte, ascoltando le canzoni di The Sad Snowman.
Hanno deciso che era ora che in Italia arrivasse qualcosa della musica degli Hell on Wheels. Un piccolo assaggio, tenue ed autunnale. Un EP. Su Kirsten's Postcard.
Nelle prime settimane d'ottobre. Un EP che già si preannuncia un piccolo capolavoro. Interamente da scaricare.
Tenete d'occhio il sito quindi.(
www.kirstenspostcard.com)
L'autunno non sarà mai stato così dolce.