Lo
chiamavano Giorgio e il Drago. Il Drago era la sua Opel verde.
Il Drago era dentro di lui.
Il rumore che faceva, quando si avvicinava al bar: ruggito di
marmitta tubercolosa, guaiti di carcassa allo stremo. Il rumore
iniziò con l'incidente. Giorgio ne uscì illeso e incolpevole.
L'altro, illeso e colpevole. Le auto, straziate. La Opel verde
fu riportata ad un livello minimo di efficienza, ma fu un lavoro
al risparmio: a Giorgio quei soldi servivano per altro. Così
il bar dovette abituarsi al Drago sferragliante. L'altro Drago,
quello invisibile, si mangiò i soldi dell'officina e della carrozzeria
(scommetto che lo avevate già capito).
C'era un autoradio nella p(l)ancia del Drago. Non era un granché,
come apparecchio. Lo riscattava però il "combustibile": Depeche
Mode e Hüsker Dü, Cure e Gun Club, Bauhaus e REM. I REM, appunto:
Giorgio tenne Life's Rich Pageant nell'autoradio per giorni,
ma in pochi se ne accorsero. Quei pochi ci passarono una serata,
nella pancia del Drago, ad ascoltare quel disco. A parlar di
questo e quello, e ad ascoltare. A contare le ustioni di cicche
sui seggiolini. A ipotizzare l'origine delle macchie secolari.
A prendersi cordialmente per il culo. E ad ascoltare.
Insomma, c'era un'aria densa e schizzata, all'interno del Drago.
C'era il casino che potete immaginare. Risa sguaiate, spremute
di coglioni, storie rigorosamente false o falsate, quelle cose
lì. Eppure ricordo bene il profilo di Giorgio appoggiato al
finestrino, gli occhi buttati sul nulla fuori. Sulle sue labbra,
silenziose, le parole di Fall On Me.
Feathers hit the ground before the weight can leave the
air
Chissà se le sapeva giuste, quelle parole. O se tirava a indovinarle
rabberciate, come me.
A way to talk around the problem (when the children reign)
Chissà se in qualche modo se lo trovava dentro, quel girotondo
laconico. Quella giostrina di carezze tristi. Quell'enfasi disinnescata.
Don't fall on me (What is it up in the air for) (It's gonna
fall)
Stefano Solventi