Capitolo III
Libere escursioni in campo indiepop, dischi e gruppi dimenticati ed altro ancora.
Pentole e navi dirette in Bolivia: Martin Stephenson e il ritorno della Kitchenware.
A
volte ritornano. Con non poco stupore e col piacere che si riserva
ad un amico perduto da una vita ho ritrovato il marchio Kitchenware
dietro l'esordio dei promettenti neo newwavers Editors.
L'etichetta di Newcastle Upon Tyne, nata come molte esperienze
simili dalla gestione di un club chiamato Soul Kitchen, dall'ottima
proposta musicale, che svariava dal pop scozzese di Aztec Camera
e Orange Juice ai Velvet e ai Parliament, mancava da una decina
di anni. Ma nel suo periodo d'oro, la seconda metā degli anni
80, ha lasciato un segno profondo nell'indiepop dell'epoca grazie
ad una manciata di gruppi memorabili: Prefab Sprout, Hurrah!,
Martin Stephenson & The Daintees, Fatima Mansions.
Sui Prefab Sprout non mi soffermo, perchāŠ non hanno bisogno
di presentazioni. Il genio di Paddy McAloon é giā stato a lungo
magnificato e il loro esordio Swoon, figura giustamente tra
i 20 dischi indispensabili segnalati da indiepop. Sul gradevole
pop chitarristico degli Hurrah! sorvolo perchāŠ non ho mai avuto
l'occasione di approfondire meglio la loro conoscenza. I Fatima
Mansions sono stati un gruppo piacevole, ma alla fine li si
ricorda soprattutto perchāŠ il loro leader Cathal Coughlan stava
nei Microdisney con Sean 'High Llamas' O'Hagan.
Martin
Stephenson e i suoi Daintees meritano invece un discorso un
po' pių approfondito. PerchāŠ la loro musica valeva parecchio,
e perchāŠ sono stati troppo presto dimenticati, destino comune
a molti eroi minori degli 80. Eccelso chitarrista, voce da crooner,
Stephenson é capace di unire nella sua musica gli stili pių
disparati, dal folk al soul al country allo swing. Il tutto
all'insegna dell'ironia, della leggerezza e del gusto per la
perfetta melodia pop. Il primo disco, Boat To Bolivia del 1986,
é un piccolo capolavoro, ricco di canzoni memorabili come Coleen,
Crocodile Cryer, Little Red Bottle, Candle In The Middle. I
testi non hanno paura di affrontare temi scabrosi come l'alcolismo,
l'aborto, gli amori lesbici, ma lo fanno con una soavitā e un'empatia
che lasciano spazio all'ottimismo e alla voglia di vivere. Il
secondo disco, Gladsome, Humour & Blue dell'1988, é altrettanto
riuscito e procura ai Daintees un discreto successo. In quegli
anni ebbi modo di vederli dal vivo, in un festival dalle mie
parti (in compagnia di gente come Primal Scream , Housemartins,
Weather Prophets) e rimasi affascinato dalle doti istrioniche
di Stephenson, dalla sua capacitā di conquistare la platea con
il suo modo buffo e partecipe di stare sul palco, il fido cappello
(che ho scoperto poi essere appartenuto a James Cagney) saldamente
piantato in testa.
Da lė in poi la carriera é continuata, ma le luci della ribalta
si sono andate progressivamente spegnendo, per colpa forse di
un'immagine troppo dimessa e poco aggressiva. Ma di questi tempi,
tra un James Yorkston e uno Stuart Murdoch, Martin farebbe ancora
un'ottima figura.
Gabriele Marramā
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